Corriere Della Sera: Don Robert Sirico: «Francesco non capiva gli Usa, ma Papa Leone è una scelta saggia»
Il sacerdote «reaganiano»: «Le cose più dure su Parolin le ho sentite dagli italiani»
«La scelta del meno americano dei cardinali americani credo sia stata una scelta saggia. Potrebbe avere diversi effetti benefici per la Chiesa: un antidoto alla polarizzazione degli ultimi anni, il recupero di una lettura corretta della dottrina ma senza integralismi, il ritorno a valori tradizionali senza per questo diventare tradizionalisti. E, per il mio Paese, un Papa che saprà come parlare all’America dopo il pontificato di Francesco che non capiva gli Stati Uniti». Padre Robert Sirico, fondatore e capo di un’organizzazione cattolica con sedi negli Usa e in Italia, l’Acton Institute, e pastore della comunità di Grand Rapids, in Michigan, è una voce molto ascoltata del conservatorismo cattolico americano: un religioso legato al pontificato di Giovanni Paolo II e alle libertà economiche dell’era Reagan, nella sua visione capaci di stimolare anche i valori etici dell’individuo, se applicate con saggezza, senza eccessi da capitalismo predatorio.
Ma quello che, al tavolo di un ristorante sotto le mura vaticane, ragiona sulle priorità di Leone XIV — dal risanamento delle disastrate finanze vaticane alla revisione di un’apertura verso la Cina vista come una sottomissione, fino agli interventi per frenare le fughe in avanti dei vescovi progressisti tedeschi — è anche un personaggio con una storia personale lunghissima e travagliata, quasi un romanzo vivente.
Fratello dell’attore Tony Sirico (il mafioso Paulie Gualtieri dei Sopranos), Robert, cresciuto a Brooklyn, emigrò ben presto nella West Coast. Abbandonato il cattolicesimo, nei primi anni Settanta divenne leader pentecostale di una congregazione gay a Seattle. Nel 1975 celebrò il primo matrimonio omosessuale del Colorado, poi andò in California a promuovere la Ced, la Campagna per la democrazia economica finanziata da Jane Fonda: pacifista, ambientalista, antinucleare. Qualche anno dopo la svolta: le letture delle opere di Friederick von Hayek e Milton Friedman lo portano ad abbandonare la sinistra radicale e a sposare l’economia di mercato mentre torna nell’alveo della Chiesa: ordinato sacerdote nel 1989. L’anno dopo fonda l’istituto del quale oggi, 73enne, è alla guida.
Convinto, come altri conservatori, che Francesco abbia portato la Chiesa fuori rotta?
«È stato un papato importante, ci vorrà tempo per arrivare a un giudizio meditato. Ma i progressisti hanno male interpretato i suoi gesti simbolici: le aperture e l’amore per chi in vario modo era al di fuori dei canoni della Chiesa non comportavano, di per sé, mutamenti teologici».
Sulla sessualità ci sono state aperture alle quali lei, anche per la sua storia, dovrebbe essere sensibile. Papa Prevost, viste le sue posizioni, su questo dovrebbe tornare all’antico.
«Sensibile? Certo, ma la mia conversione è avvenuta quando ho capito che nella Chiesa c’era uno spazio di comprensione e di amore, la distinzione tra peccato e peccatore. Il nuovo papa non credo condanni i gay, ma la cultura transgender per la quale nessuno può essere definito maschio o femmina: negano le differenze fisiche».
Cosa si aspetta da Leone XIV?
«In primo luogo rimettere ordine nel caos finanziario del Vaticano. Francesco ha provato ma è riuscito solo in parte, nonostante gli sforzi del cardinale Pell: un mio grande amico che è stato osteggiato dalla Curia anche con colpi bassi. Prevost ha il pragmatismo dell’americano e conosce bene la Curia per i suoi incarichi romani. Anche se è riservato e discreto, ritengo, poi, che mostrerà fermezza con la chiesa tedesca che, nel vuoto seguito alla morte di Francesco, ha preso decisioni in contrasto con la dottrina, come le donne concelebranti della messa».
Fermezza anche con Trump e JD Vance? Per Steve Bannon, Prevost è un anti-Maga. Mentre, per i progressisti, monsignor Viganò, apprezzato da Vance e poi scomunicato da Francesco, puntava a uno scisma.
«Viganò era imprudente, con un supporto trascurabile tra i conservatori Usa. E i cristiani Maga sono molto problematici, spesso integralisti. Voi giornalisti vedete i conservatori come un fronte compatto ma le posizioni sono spesso molto diverse. Nelle comunità il divieto della messa in latino è stata percepita come uno schiaffo, negare una libertà di scelta. Ma ha provocato tristezza, non spinte allo scisma».
E la questione cinese? Gli americani hanno fatto cadere il cardinale Parolin su quella?
«Non ero in Conclave, ma le cose più dure contro Parolin le ho sentite dagli italiani, non dagli americani. Detto questo, gli accordi con Pechino vanno rivisti: è l’altra prova che attende Leone XIV. Il regime ha nominato due vescovi dopo la morte di Francesco, senza consultare la Chiesa. Il cardinale Zen (93enne, perseguitato, è stato autorizzato da Pechino a venire a Roma per i funerali del Papa, ndr) deve restare a Roma a battersi contro i cedimenti della Chiesa a quella dittatura».
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